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Il confine tra la medicina dotta e i rimedi della
tradizione popolare è sempre stato molto fluido. Tra le carte di dotti, medici
e speziali conservate presso l’Archivio di Stato di Vercelli sono facilmente
reperibili, nei medesimi fascicoli, ricette culinarie accanto a rimedi
fitoterapici e medicinali. I rimedi curativi, applicati sia alle persone che
agli animali avevano il loro fondamento in sistemi terapeutici antichissimi,
che mescolavano conoscenza popolare, magia e sacralità. Attraverso le fonti è possibile seguire il lento processo
di passaggio da metodi curativi basati su antiche credenze ad altri di impronta
medico-scientifica. Un curioso appunto settecentesco proveniente
dal fondo della nobile famiglia Avogadro di Casanova descrive, ad esempio, il
procedimento di studio e le fasi di sperimentazione finalizzati alla ricerca di
un sistema “per far perire quel noioso, e puzzolente insetto chiamato il cimice
domestico, che [...] cotanto affligge e perseguita la misera umanità”. In esso
emerge chiaramente il tentativo di superare i metodi di cura tradizionali
mediante l’uso di strumenti scientifici innovativi come il microscopio. Nonostante gli influssi e gli sviluppi del
sapere scientifico, ancora alla metà dell’800 i rimedi tradizionali convivevano
con la conoscenza medica. Il rimedio quotidiano per i pazienti anche ricoverati
in ospedale, come testimoniato dai registri delle preparazioni, era infatti la
somministrazione di cataplasmi, infusi e latte sia animale sia vegetale secondo
“la solita dose”. I progressi della scienza medica non hanno offuscato per l’uomo
contemporaneo il fascino di cure e rimedi basati sul legame profondo e
ancestrale con una naturalità antica. Redattore: ILARIA ALESSANDRA MONTALENTI
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