Particolare stilizzato della cupola del Pantheon, Roma

Restauro del Pulpito istoriato "detto di Dante" della seconda metà XII secolo

prima del restauro
prima del restauro
durante il restauro
durante il restauro
dopo il restauro
dopo il restauro
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Il pulpito di San Leonardo in Arcetri, risalente alla seconda metà del XII secolo, costituisce un unicum in ambito fiorentino per la presenza di scene figurate assimilate alla tradizione toscana delle decorazioni ad intarsio bianco nero che valorizzano rilievi ed elementi architettonici.
L’opera che oggi vediamo, proveniente dalla Chiesa di San Pier Scheraggio, ha avuto un’esistenza piuttosto movimentata. Nel 1782 le parti che rimanevano del pulpito originario, conservate a San Pier Scheraggio, furono ricomposte nella chiesa di San Leonardo in Arcetri, con l’aggiunta di elementi settecenteschi in gesso e in pietra serena. Nel 1921, in occasione del sesto centenario della morte di Dante, il pulpito fu nuovamente spostato all’interno della chiesa di San Leonardo e rimontato con nuovi marmi, in sostituzione degli elementi settecenteschi, realizzati dalle maestranze dell’Opificio delle Pietre Dure su progetto dell’architetto Giuseppe Castellucci.
La volontà di intraprendere l’attuale restauro, emersa già durante il primo sopraluogo ad Arcetri, ha trovato fondamento nell’osservazione della evidente eterogeneità conservativa in cui esso si trovava, determinata dalla varietà di materiali costituenti e da differenti fattori di degrado. Bisognava quindi intervenire in modo da recuperare la leggibilità dell’immagine compromessa dalla diversità di patine protettive, dalla presenza del cemento di giunzione tra i pezzi e dalla perdita di colore nelle integrazioni a finta tarsia.
La prima parte del lavoro è stata dedicata ad una campagna di studio che aveva come obiettivo l’acquisizione di conoscenze sulla storia conservativa, sui materiali e le tecniche costitutive e sui processi fisico-chimici di degrado. Questo livello d’indagine ha permesso di formulare una grande quantità d’ipotesi sui fattori e le circostanze che hanno concorso a determinare il particolare stato di conservazione attuale, sono state in seguito confermate dalle analisi scientifiche, indirizzate alla caratterizzazione delle patine e delle malte. Le analisi FT-IR effettuate sulle patine hanno confermato l’impiego di cere, durante il rimontaggio novecentesco, per cercare di uniformare la diversità dei colori dei marmi e la presenza di patine costituite da ossalato di calcio sulla superficie delle formelle.
Le analisi FT-IR, XRD, SEM-EDS e in sezione sottile effettuate sui materiali di riempimento e connessione hanno confermato l’impiego di malte cementizie durante l’intervento novecentesco e di malte a gesso colorate per imitare le tarsie mancanti in verde di Prato. Altri materiali di riempimento appartengono ad un periodo anteriore e si riferiscono alle malte di allettamento delle tarsie.
In base alle analisi effettuate e all’osservazione dei fenomeni di degrado presenti, per prima cosa si è proceduto alla rimozione delle malte cementizie che fungevano da stuccatura e sigillatura e delle malte a gesso che, per lo più, avevano perso la pellicola pittorica soprastante. Abbiamo considerato che dopo la rimozione, una nostra integrazione avrebbe non solo risanato la perdita d’immagine conferendo una lettura corretta della bicromia "bianco-nero, ma, avrebbe garantito una conservazione prolungata nel tempo del manufatto.
La pulitura dei marmi ha avuto l’obiettivo di ridurre la disomogeneità delle superfici. Sono stati scelti sistemi acquosi che abbinati con la metodologia laser, hanno consentito di eseguire una pulitura graduale, fino al raggiungimento di una gradazione ottimale. I test effettuati e i risultati della pulitura finale sono stati monitorati tramite analisi colorimetriche e indagini UV.
Per l’intervento di stuccatura e sigillatura è stata avviata una sperimentazione dedicata alla formulazione della ricetta di una malta avente proprietà adeguate al nostro caso specifico.
Per la definizione del progetto d’integrazione delle decorazioni ad intarsio è stato fondamentale una riflessione critica sul tema della lacuna, alla luce delle esperienze degli ultimi anni. Particolare attenzione è stata messa nel concetto di reversibilità che abbiamo tentato di raggiungere in questo caso con tre sistemi diversi d’integrazione: finta tarsia realizzata con Templum e allettata su malta, ricostruzione a calco e infine una ricostruzione a più strati con applicazione a calamita.
La superficie marmorea è stata protetta con una cera microcristallina applicata ad aerosol.

Il restauro
Opificio delle Pietre Dure: Soprintendente Isabella lapi
Direzione storica artistica: Alessandra Griffo
Direzione tecnica: Isidoro Castello
Restauratori: Isidoro Castello, Irene Giovacchini, Marta Gómez Ubierna
Documentazione fotografica: Luca Lupi
Indagini scientifiche:
Indagini chimiche e fisiche: Simone Porcinai, Andrea Cagnini e Monica Galleotti, Opificio delle Pietre Dure.
Indagini petrografiche: Fabio Fratini, Elena Secchioni.

Responsabilità della tutela per la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze:
Soprintendente: Cristina Acidini
Funzionario del quartiere di Santo Spirito: Mirella Branca

 
Ringraziamenti:
 Si ringraziano Don Leonardo Altobelli, Bruno Santi, Isabella Lapi, Fabio Bertelli, Annamaria Giusti, Anna Mieli, Andrea Montanari, Cinzia Nenci, Giancarlo Raddi delle Ruote, Luca Rocchi, Giuseppe Volpi e tutte le persone che hanno contribuito alla realizzazione di questo lavoro.

.: Approfondimenti





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